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venerdì 26 dicembre 2014

In un'aria di vetro #2 resonando en el tiempo

"Se una donna ricambia il mio amore,
col verso sfiorerò la decima sfera dei cieli
concentrici;
se una donna disdegna il mio amore,
farò della tristezza una musica,
un fiume in piena che risuoni nel tempo".

J.L.B.




(Foto di Ilaria Demurtas)

venerdì 24 ottobre 2014

I fili colorati di Stefania Spanu

     
Nati, per diventare alberi di nuove stagioni [...] l'arte mi ha dato molto di più, mi ha dato l'ansia di infinito. Che me ne faccio io dei battimani se poi non capiscono?
(Maria Lai) 
Domenica mattina il cuore della nostra città si stiracchierà ancora sonnolento ma, affacciandosi sulle sue vie, rimarrà a bocca aperta: per le strade infatti non ci saranno solo due o tre passanti che fanno la passeggiata domenicale ma installazioni di innumerevoli fili colorati che da una via all'altra incorniceranno una facciata in via Barcellona, il Bastione, la Via del Fossario e il Palazzo di città.
La realizzatrice di questo suggestivo e bel lavoro è un'artista sorsense, Stefania Spanu, classe 1979, diplomata in "Arte del Tessuto" all'Istituto Statale d'Arte di Sassari e laureata in "Pittura" presso l'Accademia di Belle Arti dell'omonima città.
La sua installazione, "Il filo di Arianna", evento di apertura del festival Da dove sto chiamando e promossa dall’associazione culturale Ita ti nanta,  partirà alle ore 10:00 dal Piccolo Auditorium in Marina e attraverserà molti punti d'interesse fondamentali del centro storico di Cagliari. Ma non voglio dilungarmi ancora con le descrizioni: questi giorni, durante i preparativi dell'installazione, sono riuscita ad intervistarla e le ho rivolto qualche domanda; affido quindi la scoperta alla sue parole.

Ilaria:  Stefania, nella descrizione dell'installazione che realizzerai a Cagliari questa domenica," Il filo di Arianna", leggo che i tuoi lavori "prendono spunto dallo studio delle forme del corpo umano e della muscolatura, e subiscono il fascino della tradizione tessile della Sardegna, con l’intreccio di trama e ordito, che fondendosi creano movimento e spazio, in una mescolanza di colori che rimandano alla passionalità del rosso in contrasto con il nero"; tornando alle origini dei tuoi lavori e della tua arte, come si è fatta strada quest'idea di unire lo studio delle forme del corpo umano e il lavoro con i fili ed i tessuti?

Stefania: Nei miei dipinti, l’unione delle forme del corpo umano, della sua muscolatura, con la tradizione tessile sarda, intreccio di trama e ordito, è una naturale conseguenza di quella che è la mia formazione. Infatti provengo dall’Istituto d’Arte dove ho frequentato il laboratorio tessile,  e ho quindi avuto modo, a partire dalla progettazione, di realizzare manufatti tessili con il telaio sardo . Il percorso accademico e in particolare gli studi di anatomia, hanno fatto si che l’intreccio di fasci muscolari si fondesse con la tradizione tessile sarda.

I.:   Quali sono, se ci sono ovviamente, gli artisti o i maestri da cui trai ispirazione o hai tratto ispirazione per qualche tuo lavoro o per la tua idea d'arte ?

S.: Indubbiamente ci sono vari artisti a cui mi ispiro, per citarne un paio Emilio Scanavino, Maria Lai e tanti altri. Ma traggo ispirazione anche da quello che mi circonda, dalla quotidianità, dalla mia terra con i suoi colori, tutte cose che inconsciamente o meno caratterizzano i miei lavori.

I.: Ci racconti o ci sveli qualche dettaglio in più sul lavoro "Il filo di Arianna"? E credi sia importante coinvolgere i cittadini come partecipanti attivi in questo tessere di colori il centro storico di Cagliari?

S.: L’installazione “Il filo di Arianna”, prende ovviamente spunto dalla mitologia greca. Così come il filo aiutò Teseo all'interno del labirinto, i fili oggi ci guidano all'interno del dedalo di vie del centro storico cagliaritano. Un percorso cromatico e interattivo all'insegna del colore e delle sue qualità sensibili. Questa è la premessa a questo lavoro, nel quale la scelta dei colori predilige quelli primari e secondari, con le infinite possibilità che possono dare, per le sensazioni  che questi colori suscitano a livello sensitivo. Sarà quindi un esperienza ottico-sensitiva che mira a coinvolge tutti attivamente. È infatti fondamentale la partecipazione di tutti i cittadini che sono invitati a lasciarsi trasportare dai colori.

I: Se non mi sbaglio, ho letto che tu stessa “tessi i tessuti” con cui lavori; dove lo fai, dove hai imparato a farlo e credi possa essere importante al giorno d'oggi, rivalutare e valorizzare il lavoro artigiano al telaio?

S.: Come già accennato prima ho studiato all’Istituto d’Arte dove ho frequentato il laboratorio tessile, ed è li che ho avuto modo di imparare l’Arte della tessitura. Per realizzare i tessuti con i quali lavoro, e farli incontrare con i miei dipinti, ho creato uno spazio dedicato alla tessitura con il telaio verticale nel laboratorio nel quale dipingo creando anche nello spazio creativo una sorta di contiguità tra queste due arti. Ritengo che sia molto importante valorizzare e promuovere il lavoro artigiano al telaio, oltre a tutto ciò che è patrimonio culturale e tradizione.

I: Hai qualche nuovo progetto in cantiere per il futuro?

S: Qualcosa in progetto c’è ma è ancora in fase di sviluppo quindi non posso dire di più se non che sarà legato al gioco.

E con curiosità, mentre io e voi, cari lettori, fantastichiamo su questo progetto legato al gioco, andiamo tutti questa domenica a tessere di colori la città con Stefania e i suoi chilometri e chilometri di fili!
E ricordatevi: appuntamento dopodomani,26 ottobre 2014 alle ore 10.00 davanti al Piccolo Auditorium nel quartiere Marina!



Ilaria Demurtas



Installazione realizzata da Stefania Spanu

mercoledì 25 giugno 2014

Il mestiere di vivere * e altri ricordi*. #1

"In amore come in guerra"

13 giugno

Una dichiarazione di guerra è come una dichiarazione d'amore. Si diventa 'eguale del nemico e ci si innalza o abbassa con lui. Si rinfacciano al nemico le stesse enormità dispettose che - una volta innamorati- siamo prontissimi a compiere noi, e si rinfacciano sullo stesso motivo di lesa umanità.

Ripeti all'amore ciò che hai detto il 12 giugno alla guerra.

12 giugno

La guerra rialza il tono della vita perché organizza la vita interiore di tutti intorno a uno schema d'azione semplicissimo - i due campi- e sottintendendo l'idea della morte sempre pronta fornisce alle azioni più banali un suggello di gravità piú che umana.

( "Il mestiere di vivere", Cesare Pavese, Einaudi/ p.172. Foto di Ilaria Demurtas).

mercoledì 5 marzo 2014

Un mercoledì di rime sparse

"Le parole sono importanti"

L'uomo, attraverso il pensiero, acquista conoscenza dei fatti che avvengono intorno a lui e forma la coscienza da ciò che sperimenta nella sua interiorità e nella realtà esterna.
L'opinione invece è un concetto che l'uomo formula di fronte a determinati fatti,fenomeni, manifestazioni quando, mancando un criterio di certezza assoluta per giudicare sulla sua natura, si propone un'interpretazione personale che si ritiene esatta e a cui si da perciò il proprio assenso, AMMETTENDO TUTTAVIA LA POSSIBILITà DI INGANNARSI NEL GIUDICARLA TALE.
Sono due stralci di definizione che ho tratto direttamente dal dizionario Treccani per spiegare un pensiero che da ieri, in occasione delle innumerevoli opinioni senza fondamenta lette e sentite circa il film "La grande bellezza" di Paolo Sorrentino, si è risvegliato in me con ancora più forza e prepotenza se vogliamo dirla tutta.
Se non si indaga fino in fondo nelle cose, è del tutto normale ad esempio che quello che non si conosce sia noioso, quello che non si capisce sia noioso, pesante, lento; specie se queste cose sono più complesse e ci si arrende molto prima di arrivare. In questo caso si dovrebbe avere l'accortezza di rispettare il pensiero di chi si è preso la briga di fare due passi in più per conoscere o in caso contrario, osservare il silenzio, che è sempre una conquista più alta del parlare a vanvera e per dare aria alla bocca. 
Questo è il mio pensiero, non la mia opinione perché la mia conoscenza in questo caso, che sia ridotta, infinita, fantastica od orribile forma la mia coscienza che si esime dal lanciare opinioni a vanvera.
La libertà di pensiero è un nostro diritto, ma senza che diventi smerciare opinioni senza cognizione di causa perché in tal caso si scivola nel no sense e nel nulla.
L'umiltà e l'onestà intellettuale dovrebbero farsi spazio anche tra chi non ha tutti gli strumenti per valutare qualcosa, ma che ci si doti del senso del limite o che abbia inizio la ricerca: "questo lo conosco, questo non lo conosco e m'informo o lascio che gli altri indaghino,insegnino,siano i miei maestri".
L'opinione gratuita, buttata li per fare scena, confonde. Vale molto di più la carta straccia che posso ripescare dal cestino e riutilizzare per scrivere i miei pensieri.
Io insisto sempre e spesso sul saper guardare, vedere, indagare, andare oltre, potrei quasi risultare esasperante se non ponessi un freno,trovando il mio limite.
Nonostante tutto, sempre da li si deve partire; la vista, lo sguardo, che sia con gli occhi o altri sensi. Penso si debba comprendere profondamente che vedere, sentire non sono contenitori vuoti e istantanei, ma sono ricchi e hanno una durata, rimangono sospesi e invisibili, anche quando il nostro sguardo si sposta altrove.
Se si vuole esprimere un punto di vista penso si debba guardare, altrimenti non è necessario buttare le parole perché si deve dire per forza qualcosa, perché gli altri altrimenti pensano che non si abbia un'idea.
Per fortuna siamo tutti diversi e allora la bellezza sta anche nel fare silenzio e guardare o nel fare silenzio e basta.
Costruire un tragitto visibile e invisibile, che rimanga sospeso, cambi, si fissi, in continua evoluzione.
Il nostro vedere resta, rimane, per questo è ancora più importante non lasciarlo volare via senza senso; come ci fa sentire Valerio Magrelli in questa poesia.

             Ilaria Demurtas 





Ho spesso immaginato che gli sguardi
sopravvivano all'atto del vedere 
come fossero aste,
tragitti misurati, lance
in una battaglia.
Allora penso che dentro una stanza 
appena abbandonata
simili tratti debbano restare
qualche tempo sospesi ed incrociati
nell'equilibrio del loro disegno
intatti e sovrapposti come i legni
dello shangai.


(Valerio Magrelli)


fotografia di Elliott Erwitt




Qualche nota sugli autori:


Valerio Magrelli: è nato a Roma nel 1957; è un poeta italiano e insegna letteratura francese all'università di Pisa e Cassino. La poesia che ho riportato è contenuta nella sezione Amori della raccolta Nature e venature (1987).

Elliott Erwitt: è nato a Parigi nel 1928; è un fotografo specializzato in fotografia documentaria e pubblicitaria.

giovedì 13 febbraio 2014

Un mercoledì (di giovedì) di rime sparse

Viviamo tutti sospesi; momentaneamente, per lungo tempo, sospesi in una calma apparente, quasi sinistra per certi versi. Ed è strano come a volte ci scrolliamo tutto in un tratto e ci rendiamo conto di quanto profondamente quella sospensione, quel limbo "passeggero", abbia dirottato la nostra vita verso tutti altri sensi.
La realtà " ci confinava in un angolo morto della storia " scrive Vittorio Sereni ricordando la sua prigionia in Algeria dal luglio del 1943 al luglio del '45; le poche notizie che giungevano dall'Italia, dal resto del mondo, i pochi nomi avvolti da una fama vaga e indefinita acuivano ancor più quella sospensione, quello straniamento che la prigionia gettava nelle loro vite.
La liberazione " fu uno strappo e doveva essere un epilogo; o almeno la premessa a un'evoluzione, a uno sviluppo. Così quella prigionia, o quel suo particolare stato, ci lasciava il suo segno [...] una riluttanza o piuttosto uno spasimo per ogni volta che si fosse trattato di scegliere, in qualunque senso e per qualunque operazione, anche la più normale e quotidiana, tra solitudine e partecipazione" (da L'anno quarantacinque).
Nella poesia che segue ( pagina 83 nella collana dei Meridiani Mondadori), tratta dalla raccolta Diario d'Algeria si avverte questo distacco, scacco, ma si dilata, si stende, si acquieta:

"Fatto è il mio sguardo più tenero e lento
d'essere altrove e qui non è più teso".

Tanti attimi, luoghi, volti amati si confondono nel ricordo del poeta per ritrovare la calma frusciante e il silenzio come di risacca

 " nel vecchio cielo diventato mite".

Sembrerebbe quasi che si sia ritrovata la pace, che attraverso questa sospensione, straniamento, si sia giunti a un'oasi, finalmente; invece è proprio questa calma oscillante a rinchiuderlo in un microcosmo che negli anni avvenire lo farà sentire tagliato fuori dal mondo.

Lo scatto di Silvia Pruna è un attimo sospeso; un attrice si libra nell'aria, a mezz'aria, sorretta solo da un nastro bianco. E' un "carpe diem", passerà veloce ma lascerà pur qualcosa, un messaggio, un segno;
l'arte dovrà pur essere la nostra certa salvezza dall'aridità che ultimamente tenta di scavarci il vuoto intorno.
Forza, coraggio, sicurezza, si fondono tutti in questa sospensione come i ricordi di Sereni, nel vecchio cielo ora mite.
E siamo noi a dover scorgere un volto che manca.


Ilaria Demurtas





Se la febbre di te più non mi porta
come ogni gesto si muta in carezza
ove indugia un addio
foglia che di prima estate
si spicca.

Fatto è il mio sguardo più tenero e lento
d`essere altrove e qui non è più teso.

Strade fontane piazze
un giorno corse a volo
nel lume del tuo corpo
in ognuna m`attardo in un groviglio
di volti amati
nel poco verde tra gli anditi bui
nel vecchio cielo diventato mite.


Sidi-Chami, dicembre 1944





" Tessuti tesi"
di
Silvia Pruna



Qualche nota sugli autori:

Vittorio Sereni (27 luglio 1913, Luino-10 febbraio 1983, Milano) è stato un poeta, traduttore e critico italiano; le sue essenziali raccolte ( Diario d'Algeria, Gli strumenti umani) si legano ai momenti salienti della propria vicenda umana, dalle esperienze di guerra e di prigionia agli anni dello sviluppo economico, vissuti con severo distacco critico. Critico e traduttore scrisse anche prose che sono in stretto rapporto con la sua poesia.



Silvia Pruna: é nata,vive e studia Biologia a Cagliari; ricercatezza e messa a fuoco quasi sempre ottimale, sperimentazione di tecniche fotografiche diverse, sono le caratteristiche principali dei suoi scatti. E' attenta ai dettagli della natura, fotografa spesso spettacoli di danza e teatro; tutti i suoi soggetti son colti in un attimo ben preciso, poco prima che possa passare, sfuggire.


http://www.flickr.com/photos/pru08/





mercoledì 5 febbraio 2014

Un mercoledì di rime sparse

Il poeta Josif Brodskij scrisse:

" L'Achmatova è uno di quei poeti che semplicemente avvengono, che sbarcano nel mondo con uno stile già costruito e una loro sensibilità unica. Arrivò attrezzata di tutto punto e non somigliò mai a nessuno".

La poetessa russa Anna Achmatova, si pone al crocevia di cammini spirituali e intellettuali, lontana dalle sperimentazioni simboliste del suo tempo e il risultato a cui inizialmente giunge è una "poesia della quotidianità", apparentemente tradizionale e nei fatti genialmente innovativa; la sua innovazione risiede nel non far propria la scrittura d'avanguardia ma immergersi in una scrittura  personale e intima e da questa intimità partire per abbracciare anche l'esterno,seguendo un processo altrettanto complesso di "passaggio" se così vogliamo chiamarlo. 
E in questi passaggi,in questa corsa del tempo, che a mio avviso l'Achmatova conserva certe emozioni, certi tratti a cui sempre rimarrà fedele nella sua poesia, dai primi anni (1910) agli ultimi versi (1959-1966); e queste emozioni, come un fiume carsico, viaggiano nascoste e sotterranee certi periodi ( vedi soprattutto il periodo della seconda guerra mondiale, il regime sovietico) ma sempre riaffiorano e sono pronte a farlo.
Per valorizzare questa peculiarità tutta achmatoviana, oggi ho scelto due poesie, scritte a distanza di molti anni l'una dall'altra ( 1911 " La porta è socchiusa" , 1959 dal ciclo "Pagine di Tasként" ) ma che conservano quell'essenzialità che è una delle cifre stilistiche più alte lungo tutto il percorso poetico della scrittrice: questa essenzialità nei primi versi dell' 11, in cui possiamo cogliere mescolanza di emozionalità e autocontrollo, si riflette in una " poetica che si regge sul gioco di spinte e contro spinte, si nutre delle sue stesse contraddizioni interne" ( Michele Colucci ).
In entrambe le poesie è l'amore il tema centrale. 
Nella prima Michele Colucci, nella sua prefazione a " La corsa del tempo", scorge una visione dell'eros, dell'amore come negazione di se; prevale l'equazione amore = sofferenza e se, come abbiamo detto, nei fatti nega se stesso, aspira comunque a una totalità, a un amore-totalità che sia libero dai limiti dell'esistenza quotidiana:

Sai, ho letto
che le anime sono immortali.

E nella seconda poesia abbiamo un momento d'amore, affidato al ricordo e al sogno, a quella possibilità di poterlo suggellare attraverso il ricordo, nonostante questi siano anni di rassegnata consapevolezza e dolorosa introspezione di fronte ai decreti della sorte,contro cui non si può più combattere. La totalità dell'amore a cui la poetessa aspira, è sì affievolita dalla corsa del tempo, dagli eventi che inevitabilmente ci condizionano e cambiano, ma è sempre presente questa aspirazione e possiamo coglierne le tracce brillanti, come lucciole, sparse tra i suoi versi.

Se quella notte tornerà a te,
nel tuo destino che non comprendo,
sappilo: qualcuno
ha visto in sogno quel sacro momento.

Per la fotografia oggi vi propongo due miei scatti; la luce cambia, ma in ognuno di essi " l'oggetto " è stato qualcosa per cui è valsa la pena fermarsi a guardare, durante la mia corsa del tempo.


Ilaria Demurtas



La porta è socchiusa

La porta è socchiusa
dolce respiro dei tigli...
Sul tavolo, dimenticati,
un frustino ed un guanto.

Giallo cerchio del lume...
tendo l'orecchio ai fruscii.
Perché sei andato via?
Non comprendo...

Luminoso e lieto
domani sarà il mattino.
Questa vita è stupenda,
sii dunque saggio, cuore.

Tu sei prostrato, batti
più sordo, più a rilento...
Sai, ho letto
che le anime sono immortali.

1911




Dal ciclo " Pagine di Tasként "

Fummo pazzi quella notte l'uno nell'altra,
solo lume una tenebra ferale,
borbottavano i canali loro nenie,
e i garofani sapevano d'Asia.

Andavamo per la città forestiera
nel canto opaco e l'afa di mezzanotte,
soli, sotto le stelle del Serpente,
senza osare guardarci l'uno l'altro.

Poteva essere Istambul, Bagdad magari,
ma, ahimè, non Varsavia, non Leningrado,
e ci opprimeva quello iato amaro
come un'atmosfera di orfanezza.

E ci sembrava: marciano accanto i secoli,
una mano invisibile percuote un tamburo,
ed i suoni, come segni segreti,
volteggiano innanzi a noi nel buio.

Insieme alla caligine arcana,
quasi andassimo per una terra di nessuno,
ma di colpo sopra l'incontro-commiato,
feluca di diamante, si erse la luna.

Se quella notte tornerà a te,
nel tuo destino che non comprendo,
sappilo: qualcuno
ha visto in sogno quel sacro momento.

1959






"Quello che rimane"
foto di:
Ilaria Demurtas








Qualche nota sull'autrice:

Anna Achmatova ( psedudonimo di Anna Andreevna Gorenko; 23 giugno 1889, Bolsoj Fontan - 5 maggio 1966, Mosca ) è stata una poetessa russa ( lei non amava farsi definire poetessa, preferiva essere chiamata "poeta"). Per un'analisi completa e parallela di vita e opere, vi rimando all'introduzione a, La corsa del tempo, Einaudi, di Michele Colucci; mi ha molto aiutata per comprendere la Achmatova.
A parte i miei pensieri e analisi di oggi, non potendomi dilungare adesso su un altro aspetto molto importante della poesia della Achmatova vorrei almeno scrivere che ha vissuto nel solco di due epoche; tra emozionalità e razionalità, sottraendosi a ogni ideologia di regime, ha reso comunque la sorte del suo paese indispensabile al suo poetare.
I testi che ho presentato potete trovarli entrambi nella raccolta edita da Einaudi, La corsa del tempo.

Per altre informazioni:



sabato 1 febbraio 2014

In un`aria di vetro #1

" Perché tutto vive in me
   e non nel tempo
   e in me
   tutto è presente"

["Ieri", Agota Kristof; foto di Yale Joel 1957]

mercoledì 29 gennaio 2014

Un mercoledì di rime sparse

La poesia di Wislawa Szymborska è secondo me in armonia con la foto di Silvia Maglione che l'accompagna; i versi della poetessa polacca infatti conservano sempre nella loro idea,nella loro forma,la caratteristica di cogliere il dettaglio nella vita di tutti i giorni,dettaglio fondamentale per comprendere il significato vero o nascosto delle cose che ci circondano o ci riguardano personalmente. Altro aspetto che colgo nelle poesie a primo sguardo semplici e allo stesso tempo cariche di tutta l'intensità che ogni verso può sprigionare,è la capacità della Szymborska di saper osservare la vita sotto prospettive e angolazioni nuove; così come in questa poesia la morte, non più solo imposta,inevitabile per ogni uomo ma distratta e "senza metodo né abilità", viene scongiurata,sminuita e alla fine sconfitta perché "Non c'è vita/ che almeno per un attimo/ non sia immortale" e che "A nessuno può sottrarre/il tempo raggiunto",in tante altre poesie della Swymborska si compie l'analogo procedimento. Come non ricordare la poesia in cui la sofferenza per la morte di suo marito e tutto quello che dolorosamente comporta,viene vista attraverso la vita del loro gatto? Tutto cambia,le stanze della casa sono più solitarie,silenziose e spoglie,e lui si aggira incerto,aspetta invano un rientro,sconvolge le carte del padrone che non gli era permesso sfiorare.

Allo stesso tempo,negli scatti di Silvia, troviamo la stessa ricerca che mira a comprendere,scavare nei pensieri di ognuno di noi o nell'essenza di tutte le cose,colte la maggior parte delle volte nei loro dettagli,quei dettagli che a uno sguardo superficiale si trascurano,a cui non si fa caso,ma che lei invece porta al centro della scena,dei nostri sguardi.

Entrambi i lavori di queste donne così diverse,appartenenti a due generazioni solo apparentemente lontane,fanno loro,rielaborandolo quel concetto poetico eliotiano del "correlativo oggettivo" : " una serie di oggetti,una situazione,una catena di eventi pronta a trasformarsi nella formula di un'emozione particolare".


Ilaria Demurtas




Sulla morte,senza esagerare

Non s'intende di scherzi,
stelle, ponti, 
tessitura, miniere, lavoro dei campi, 
costruzione di navi e cottura di dolci. 
Quando conversiamo del domani
intromette la sua ultima parola
a sproposito. 
Non sa fare neppure ciò
che attiene al suo mestiere: 
né scavare una fossa, 
né mettere insieme una bara, 
né rassettare il disordine che lascia. 
Occupata a uccidere, 
lo fa in modo maldestro, 
senza metodo né abilità. 
Come se con ognuno di noi stesse imparando. 
Vada per i trionfi, 
ma quante disfatte, 
colpi a vuoto 
e tentativi ripetuti da capo! 
A volte le manca la forza 
di far cadere una mosca in volo. 
Più di un bruco 
la batte in velocità. 
Tutti quei bulbi, baccelli, 
antenne, pinne, trachee, 
piumaggi nuziali e pelame invernale 
testimoniano i ritardi 
del suo svogliato lavoro. 
La cattiva volontà non basta 
e perfino il nostro aiuto con guerre e rivoluzioni 
è, almeno fin ora, insufficiente. 
I cuori battono nelle uova. Crescono gli scheletri dei neonati. 
Dai semi spuntano le prime due foglioline, 
e spesso anche grandi alberi all'orizzonte. 
Chi ne afferma l'onnipotenza 
è lui stesso la prova vivente 
che essa onnipotente non è. 
Non c'è vita 
che almeno per un attimo 
non sia immortale. 
La morte 
è sempre in ritardo di quell'attimo. 
Invano scuote la maniglia 
d'una porta invisibile. 
A nessuno può sottrarre 
il tempo raggiunto. 

(Wislawa Szymborska)




Foto di
Silvia Maglione






Qualche nota sugli autori:


Wislawa Szymborska (Bnin- Poznan 1923- Cracovia 2012) è stata una delle più importanti poetesse polacche ed è ancora per noi una delle massime voci della poesia contemporanea. Insignita del premio Nobel nel 1996, "muovendo dall'osservazione del quotidiano,Szymborska costruisce una poesia intellettuale e riflessiva,che s'interroga sulla condizione esistenziale dell'uomo contemporaneo,contrapposto ed estraneo al mondo della natura". (Enciclopedia Treccani). La poesia che ho condiviso oggi,potete trovarla nella raccolta "La gioia di scrivere- tutte le poesie (1945-2009)" edita da Adelphi.

Per approfondimenti: http://www.treccani.it/enciclopedia/wislawa-szymborska/



Silvia Maglione è nata in Sardegna e studia Beni culturali al'Università di Cagliari; ha vissuto per diversi anni a Venezia,città alla quale è particolarmente legata e che possiamo ritrovare in molti suoi scatti; ha partecipato a diverse mostre fotografiche, e oltre la grande passione e l'amore che la legano alla fotografia,Silvia disegna,dipinge e scrive.
La sua creatività ogni giorno partorisce nuove idee che danno voce e spazio alla sua vocazione artistica.

venerdì 24 gennaio 2014

"Memel"- Le madri salvate


"Non si è più vittime di nulla [...]" recita l'epigrafe di David Grossman al libro di Colombe Schneck, "Le madri salvate"; un libro che con coraggio e voce nuova affronta una delle pagine più buie e complesse della Shoah: lo sterminio degli ebrei lituani e,in particolare, la vicenda di alcuni membri della famiglia dell'autrice ( la bisnonna Mary,tre dei suoi quattro figli: Raya,Masa con i loro mariti,Nahum con la moglie e i rispettivi figli di Raya e Masa, Salomè di sette anni e Kalman di tre anni) segregati nel ghetto di Kovno a Kaunas.Il libro prende avvio da una vicenda personale della quale nella famiglia si è pressoché taciuto per ben sessant'anni,finché l'autrice non tenta e riesce in parte a squarciare quel silenzio con il suo libro (silenzio mantenuto soprattutto da sua nonna Ginda,sorella di Raya e Masa ma emigrata in Francia prima della guerra, e da sua madre Hèlene) ma prima ancora con il peso di una colpa inesistente che sente gravare sulle sue spalle e che la porta alla ricerca della verità.

"Il dolore affiora solo una volta", è una delle chiavi per capire cosa hanno vissuto e perché tanti di coloro che hanno vissuto quella disperazione ,per tanto tempo non sono riusciti a far altro che tacere e vivere la vita dopo, nel loro silenzio e nel loro dolore

"Non c'è trasmissione ai figli e ai nipoti. Il mondo di prima è sepolto e ne restano solo alcune vestigia".

E di questa trasmissione del passato,l'autrice sa solo una cosa all'inizio del suo racconto: i figli delle sorelle di sua nonna,Salomè e Kalman e sua bisnonna Mary sono morti probabilmente il 26 ottobre del 1943,in seguito alla seconda grande Aktion nel ghetto di Kovno.

"Che ne è stato degli altri? I figli non sono nati. I loro genitori sono morti troppo presto,i sopravvissuti se ne sono andati in Israele e negli Stati Uniti.
Faccio il conto,siamo pochi e tutti nella stessa paura,senza niente che ci leghi.
Angosciati,colpevoli,paranoici,col mal di pancia,ci riconosciamo così.
Preoccupati del nostro paese.
Che posto occupa il dolore nelle nostre vite di oggi?"

E' il posto che occupa questo dolore ad accompagnare la vita di Colombe e ancora prima di sua madre e soprattutto di sua nonna Ginda. E dal dolore, nascono le domande:

"C'era come un divieto invisibile,non mi proibivano di fare domande,ma intuivo che non era il caso".

Ma uno dei tormenti più grandi è legato a quel "sempre scegliere la vita" che era valso per le prozie Raya e Masa di fronte alla morte dei figli; Colombe si chiede,con sua figlia Salomè tra le braccia ( " e dando a mia figlia il bel nome di Salomè le ho accollato una maledizione che non conosco" ): io potrei mai continuare a vivere se morissero i miei figli? Non si capacita ed allo stesso tempo,durante le sue ricerche e le sue domande,ritrova questo sul viso di chi ha vissuto certi orrori:

"Il suo sorriso poteva essere allegro perché in fondo al cuore sapeva di cosa fosse fatta la vita: se il peggio è possibile,la malinconia non è ammessa".

Si incontrano/scontrano,nella famiglia dell'autrice,il desiderio di andare avanti delle prozie che si risposano dopo aver perso anche i loro mariti e danno alla luce altri figli nonostante la morte di Salomè e Kalman,con la solitudine e il silenzio della nonna Ginda,che pur non avendo vissuto tutto questo non parla e non racconta quasi nulla della morte dei nipoti.
Colombe inizia le sue ricerche,studia,intervista familiari,viaggia per gli Stati Uniti,in Israele e in Lituania,vuole sapere e fare luce sulla storia della sua famiglia e sul destino di quelle famiglie ebree lituane sterminate. 
Il 95% della popolazione ebrea lituana è stata cancellata; Ponevezh, il paese lituano in cui erano nate sua nonna con le sue sorelle,non conserva più la benché minima traccia della popolazione ebrea che un tempo viveva lì e che superava di gran lunga il numero degli altri abitanti.

"Le madri tenevano in braccio i bambini. Prima si uccideva la madre,poi il bambino,perché non vedessero morire il figlio. I bambini più grandi capivano il loro destino. I più piccoli gattonavano nella fossa per ritrovare i loro genitori. Bisognava mirare dritto al petto. Se non venivano uccisi sul colpo,potevano morire soffocati sotto il peso dei corpi sdraiati su di loro,che cadevano uno a uno".
(testimonianza di Juozas Aleksynas,poliziotto lituano incaricato dello sterminio degli ebrei nel ghetto di Kaunas).

Com'è possibile allora che certe madri si siano salvate se la pratica diffusa era questa? Perché a Raya e Masa è stata concessa la vita e ai loro figli la morte?
La verità a cui l'autrice arriva è un traguardo,una danza in un parcheggio di Kaunas quando continua a comporre,tassello su tassello la "sua" storia. Ma tornare in Lituania per finire di scrivere e raccontare una storia,per ritrovare una comunità di cui non rimane niente,è scontrarsi anche "con chi finge che nessuno ha ucciso ed è stato ucciso" quando in realtà:

"Alcuni lituani hanno collaborato con i nazisti e hanno ucciso degli ebrei,alcuni ebrei erano comunisti e hanno accolto bene l'arrivo dell'Armata Rossa. I sovietici hanno combattuto i nazisti e ucciso e deportato lituani nei campi in Siberia. I sovietici sono stati i primi a censire gli ebrei sterminati dalle Einsatzgruppen (*1),hanno ucciso e deportato ebrei nei campi in Siberia.
In Lituania le sofferenze si sono aggiunte le une alle altre".

Questo è un altro grande tema che Colombe Schneck affronta nel suo libro: la Lituania è una paese che soffre e nel quale le ferite sono ancora aperte e silenziose,si sono sovrapposte l'una all'altra,troppo dolore ha fatto si che per alcuni,una tragedia vissuta,ne cancellasse altre; ma come scrive Nadine Fresco nel libro, La mort des juifs,un dolore non ne cancella un altro.
E a mio avviso,è anche questo che la Schneck vuole trasmetterci rovesciando l'epigrafe iniziale di David Grossman: il diritto ad essere vittime di qualcosa,"dell'arbitrario,del peggio,di ciò che distrugge la vita,quando lo si descrive con parole proprie"; ma ricordandoci che "la vita di ognuno di noi non è un tentativo di amare. E' l'unico tentativo" (Pascal Quignard). 
Sorridere quindi,e accettare il fatto che "scegliere la vita" non è una colpa,nonostante tutto.


( *1); Einsatzgruppen: prime unità mobili di massacro che operavano nelle regioni invase dall'esercito tedesco durante la seconda guerra mondiale e incaricate della liquidazione degli ebrei nei paesi baltici).

"Memel",il titolo del mio articolo,viene dal lettone e significa: "silenzio".


Ilaria Demurtas



E' inutile dirvi che ho amato questo libro dall'inizio alla fine e che secondo me,ognuno di voi deve leggerlo,assolutamente.




Salomè Bernstein
(1 luglio 1939)
















mercoledì 22 gennaio 2014

Un mercoledì di rime sparse

Rubrica settimanale di poesia e fotografia

Questa rubrica è dedicata alla pubblicazione, una volta alla settimana e sempre di mercoledì, di una poesia accompagnata da una fotografia o da un disegno/illustrazione, di autori conosciuti e sconosciuti,affermati ed emergenti. La pubblicazione sarà a mia discrezione ma vi chiedo,se avete qualcosa da propormi,di scrivermi,contattarmi,commentare i posti,aprire discussioni e dibattiti,non aspetto altro che ricevere commenti,critiche,suggerimenti,trarre ispirazione dalle vostre idee.

Buona lettura!


Oggi pubblico una poesia di Andrea Zanzotto,accompagnata da uno scatto di Alessandra Olianas.
Il paesaggio e i suoi personaggi,come recita il titolo della poesia,paesaggio che per tutta la vita del poeta è sempre il medesimo e amato fin dall'infanzia,sono i protagonisti di questo primo appuntamento con la rubrica,un paesaggio che si manifesta come evento,accadimento, e che si lega indissolubilmente alle condizioni psico-fisiche dell'uomo,alla sua interiorità; paesaggio nel quale,con l'industrializzazione e l'urbanizzazione "resta quasi dovunque sfregiato il volto antico delle città e le campagne vengono infiltrate da una specie di sfilacciato tessuto urbano,proliferante di costruzioni amorfe,come quelle villette-benessere che,se saziano un'antica fame di abitazioni per tutti,oscurano con la loro caotica disseminazione ogni angolo del paesaggio".
Questa devastazione ambientale è vista non tanto con l'occhio attento dell'ecologista, ma con lo sguardo del poeta che vi ritrova una profonda implicazione metafisica,in una poetica della natura,ultimo rifugio sacro nel mondo contemporaneo. Ritrovare anche la propria casa,il proprio paesaggio di sempre,gli stessi occhi del passato per riscoprire il presente e il futuro; occhi che colgono le novità e quella devastazione, ma conservano il ricordo,affinché ci porti a  un domani più ricco,meno distruttivo.
Senza bisogno di cambiare continuamente paesaggio ma vivendo nella stessa casa,sulla stessa sedia,di fronte alla stessa vallata che non sono mai uguali al giorno precedente e che, per alcuni, sono anzi meno soffocanti del continuo migrare.
C'era chi ancora restava ed è Andrea Zanzotto e c'è chi ancora resta e sul suo esempio si immerge nello stesso ma diverso e multiforme paesaggio.


Ilaria Demurtas



Paesaggio e personaggio

Paesaggio e personaggio
non sempre vanno insieme,
che l'un nell'altro affondino
è quel che più si teme.

Però se questo capita
pur sempre è gran ventura,
sol dove il cuore palpita
la sintesi è sicura.

Fusi eppure distinti:
tali li vuol natura.


(Andrea Zanzotto)



"True goodbyes are the ones never said or explained"
foto di:
Alessandra Olianas






Qualche nota sugli autori

Andrea Zanzotto (Pieve di Soligo 1921- Conegliano 18 ottobre 2011) è il maggior poeta italiano della generazione 
post-Montale; pubblica il suo primo libro di poesia nel 1951, Dietro il paesaggio, poesia che sin dagli esordi appare fisicamente legata al paesaggio natale,ai suoi colli veneti di cui sarà "l'incantato/disincantato scrutatore". A tale legame il poeta resterà fedele nell'intera sua opera,pur nel mutare di scelte formali,di ordini e registri della lingua.
Un volume della collana "Oscar" Mondadori raccoglie "Tutte le poesie" (2011).
La poesia che potete leggere qui è pubblicata nel volume "La coscienza e il coraggio -esperienze letterarie della modernità,studi in onore di Sandro Maxia" a cura di Giovanna Caltagirone,AM&D edizioni.

Per approfondimenti,rimando a questo sito:  http://www.treccani.it/enciclopedia/andrea-zanzotto/

Alessandra Olianas è nata in Sardegna nel 1988 e studia Lingue presso l'Università degli studi di Cagliari; ama viaggiare e ha vissuto,oltre che nella sua terra, in Spagna,Inghilterra,Irlanda,Albania. Il viaggio si intreccia profondamente al suo amore viscerale e intenso per la fotografia,i libri;tutto questo si coniuga attraverso le sue opere, in una ricerca incessante di storie da raccontare,emozioni,vita.







martedì 14 gennaio 2014

Il silenzio della mia città



Ieri,ormai; ho aperto il portone alle 23 per tornare a casa e la città era già immersa nel suo silenzio. Davanti a me,in un pub,una ragazza dai capelli ricci e rossicci,armeggiava con qualcosa sul bancone: occhi bassi,immersa nelle sue faccende,non mi guardava. La musica quasi impercettibile suonava da un altro locale accanto al quale avevo parcheggiato la macchina.
La strada così vuota e umida. Umida e pettinata,quasi sembrava che qualcuno si fosse preso la briga di metterla in ordine,mettendo da parte ogni cosa fuori posto per farla apparire liscia e impeccabile,un manto morbido imperlato dall`umidità della notte. 
Camminare, scaraventata in quest` ordine surreale,e con la mente viaggiare fino a chi sta con una coperta davanti alla tv,nel proprio letto con un libro in mano,davanti a un computer a lavorare al riparo dal freddo della notte,oltre quei vetri che si appannano solo negli angoli e che a me hanno sempre fatto immaginare la neve; neve che mai arrivava,immaginarla scendere fioca fioca con
gli occhi stretti stretti di sogni.
Catturare quel momento,sospenderlo nel tempo che avevo rapito alle strade deserte e alle persone dentro le case;la mia silenziosa libertà di nuvole in corsa.
Correre.
Ridere per divertirmi,non farmi raggiungere.
E sedermi felice,dopo aver abbracciato tutta l`aria fredda di gennaio sul viso.

Sorriderti.



Ilaria D.