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mercoledì 29 gennaio 2014

Un mercoledì di rime sparse

La poesia di Wislawa Szymborska è secondo me in armonia con la foto di Silvia Maglione che l'accompagna; i versi della poetessa polacca infatti conservano sempre nella loro idea,nella loro forma,la caratteristica di cogliere il dettaglio nella vita di tutti i giorni,dettaglio fondamentale per comprendere il significato vero o nascosto delle cose che ci circondano o ci riguardano personalmente. Altro aspetto che colgo nelle poesie a primo sguardo semplici e allo stesso tempo cariche di tutta l'intensità che ogni verso può sprigionare,è la capacità della Szymborska di saper osservare la vita sotto prospettive e angolazioni nuove; così come in questa poesia la morte, non più solo imposta,inevitabile per ogni uomo ma distratta e "senza metodo né abilità", viene scongiurata,sminuita e alla fine sconfitta perché "Non c'è vita/ che almeno per un attimo/ non sia immortale" e che "A nessuno può sottrarre/il tempo raggiunto",in tante altre poesie della Swymborska si compie l'analogo procedimento. Come non ricordare la poesia in cui la sofferenza per la morte di suo marito e tutto quello che dolorosamente comporta,viene vista attraverso la vita del loro gatto? Tutto cambia,le stanze della casa sono più solitarie,silenziose e spoglie,e lui si aggira incerto,aspetta invano un rientro,sconvolge le carte del padrone che non gli era permesso sfiorare.

Allo stesso tempo,negli scatti di Silvia, troviamo la stessa ricerca che mira a comprendere,scavare nei pensieri di ognuno di noi o nell'essenza di tutte le cose,colte la maggior parte delle volte nei loro dettagli,quei dettagli che a uno sguardo superficiale si trascurano,a cui non si fa caso,ma che lei invece porta al centro della scena,dei nostri sguardi.

Entrambi i lavori di queste donne così diverse,appartenenti a due generazioni solo apparentemente lontane,fanno loro,rielaborandolo quel concetto poetico eliotiano del "correlativo oggettivo" : " una serie di oggetti,una situazione,una catena di eventi pronta a trasformarsi nella formula di un'emozione particolare".


Ilaria Demurtas




Sulla morte,senza esagerare

Non s'intende di scherzi,
stelle, ponti, 
tessitura, miniere, lavoro dei campi, 
costruzione di navi e cottura di dolci. 
Quando conversiamo del domani
intromette la sua ultima parola
a sproposito. 
Non sa fare neppure ciò
che attiene al suo mestiere: 
né scavare una fossa, 
né mettere insieme una bara, 
né rassettare il disordine che lascia. 
Occupata a uccidere, 
lo fa in modo maldestro, 
senza metodo né abilità. 
Come se con ognuno di noi stesse imparando. 
Vada per i trionfi, 
ma quante disfatte, 
colpi a vuoto 
e tentativi ripetuti da capo! 
A volte le manca la forza 
di far cadere una mosca in volo. 
Più di un bruco 
la batte in velocità. 
Tutti quei bulbi, baccelli, 
antenne, pinne, trachee, 
piumaggi nuziali e pelame invernale 
testimoniano i ritardi 
del suo svogliato lavoro. 
La cattiva volontà non basta 
e perfino il nostro aiuto con guerre e rivoluzioni 
è, almeno fin ora, insufficiente. 
I cuori battono nelle uova. Crescono gli scheletri dei neonati. 
Dai semi spuntano le prime due foglioline, 
e spesso anche grandi alberi all'orizzonte. 
Chi ne afferma l'onnipotenza 
è lui stesso la prova vivente 
che essa onnipotente non è. 
Non c'è vita 
che almeno per un attimo 
non sia immortale. 
La morte 
è sempre in ritardo di quell'attimo. 
Invano scuote la maniglia 
d'una porta invisibile. 
A nessuno può sottrarre 
il tempo raggiunto. 

(Wislawa Szymborska)




Foto di
Silvia Maglione






Qualche nota sugli autori:


Wislawa Szymborska (Bnin- Poznan 1923- Cracovia 2012) è stata una delle più importanti poetesse polacche ed è ancora per noi una delle massime voci della poesia contemporanea. Insignita del premio Nobel nel 1996, "muovendo dall'osservazione del quotidiano,Szymborska costruisce una poesia intellettuale e riflessiva,che s'interroga sulla condizione esistenziale dell'uomo contemporaneo,contrapposto ed estraneo al mondo della natura". (Enciclopedia Treccani). La poesia che ho condiviso oggi,potete trovarla nella raccolta "La gioia di scrivere- tutte le poesie (1945-2009)" edita da Adelphi.

Per approfondimenti: http://www.treccani.it/enciclopedia/wislawa-szymborska/



Silvia Maglione è nata in Sardegna e studia Beni culturali al'Università di Cagliari; ha vissuto per diversi anni a Venezia,città alla quale è particolarmente legata e che possiamo ritrovare in molti suoi scatti; ha partecipato a diverse mostre fotografiche, e oltre la grande passione e l'amore che la legano alla fotografia,Silvia disegna,dipinge e scrive.
La sua creatività ogni giorno partorisce nuove idee che danno voce e spazio alla sua vocazione artistica.

venerdì 24 gennaio 2014

"Memel"- Le madri salvate


"Non si è più vittime di nulla [...]" recita l'epigrafe di David Grossman al libro di Colombe Schneck, "Le madri salvate"; un libro che con coraggio e voce nuova affronta una delle pagine più buie e complesse della Shoah: lo sterminio degli ebrei lituani e,in particolare, la vicenda di alcuni membri della famiglia dell'autrice ( la bisnonna Mary,tre dei suoi quattro figli: Raya,Masa con i loro mariti,Nahum con la moglie e i rispettivi figli di Raya e Masa, Salomè di sette anni e Kalman di tre anni) segregati nel ghetto di Kovno a Kaunas.Il libro prende avvio da una vicenda personale della quale nella famiglia si è pressoché taciuto per ben sessant'anni,finché l'autrice non tenta e riesce in parte a squarciare quel silenzio con il suo libro (silenzio mantenuto soprattutto da sua nonna Ginda,sorella di Raya e Masa ma emigrata in Francia prima della guerra, e da sua madre Hèlene) ma prima ancora con il peso di una colpa inesistente che sente gravare sulle sue spalle e che la porta alla ricerca della verità.

"Il dolore affiora solo una volta", è una delle chiavi per capire cosa hanno vissuto e perché tanti di coloro che hanno vissuto quella disperazione ,per tanto tempo non sono riusciti a far altro che tacere e vivere la vita dopo, nel loro silenzio e nel loro dolore

"Non c'è trasmissione ai figli e ai nipoti. Il mondo di prima è sepolto e ne restano solo alcune vestigia".

E di questa trasmissione del passato,l'autrice sa solo una cosa all'inizio del suo racconto: i figli delle sorelle di sua nonna,Salomè e Kalman e sua bisnonna Mary sono morti probabilmente il 26 ottobre del 1943,in seguito alla seconda grande Aktion nel ghetto di Kovno.

"Che ne è stato degli altri? I figli non sono nati. I loro genitori sono morti troppo presto,i sopravvissuti se ne sono andati in Israele e negli Stati Uniti.
Faccio il conto,siamo pochi e tutti nella stessa paura,senza niente che ci leghi.
Angosciati,colpevoli,paranoici,col mal di pancia,ci riconosciamo così.
Preoccupati del nostro paese.
Che posto occupa il dolore nelle nostre vite di oggi?"

E' il posto che occupa questo dolore ad accompagnare la vita di Colombe e ancora prima di sua madre e soprattutto di sua nonna Ginda. E dal dolore, nascono le domande:

"C'era come un divieto invisibile,non mi proibivano di fare domande,ma intuivo che non era il caso".

Ma uno dei tormenti più grandi è legato a quel "sempre scegliere la vita" che era valso per le prozie Raya e Masa di fronte alla morte dei figli; Colombe si chiede,con sua figlia Salomè tra le braccia ( " e dando a mia figlia il bel nome di Salomè le ho accollato una maledizione che non conosco" ): io potrei mai continuare a vivere se morissero i miei figli? Non si capacita ed allo stesso tempo,durante le sue ricerche e le sue domande,ritrova questo sul viso di chi ha vissuto certi orrori:

"Il suo sorriso poteva essere allegro perché in fondo al cuore sapeva di cosa fosse fatta la vita: se il peggio è possibile,la malinconia non è ammessa".

Si incontrano/scontrano,nella famiglia dell'autrice,il desiderio di andare avanti delle prozie che si risposano dopo aver perso anche i loro mariti e danno alla luce altri figli nonostante la morte di Salomè e Kalman,con la solitudine e il silenzio della nonna Ginda,che pur non avendo vissuto tutto questo non parla e non racconta quasi nulla della morte dei nipoti.
Colombe inizia le sue ricerche,studia,intervista familiari,viaggia per gli Stati Uniti,in Israele e in Lituania,vuole sapere e fare luce sulla storia della sua famiglia e sul destino di quelle famiglie ebree lituane sterminate. 
Il 95% della popolazione ebrea lituana è stata cancellata; Ponevezh, il paese lituano in cui erano nate sua nonna con le sue sorelle,non conserva più la benché minima traccia della popolazione ebrea che un tempo viveva lì e che superava di gran lunga il numero degli altri abitanti.

"Le madri tenevano in braccio i bambini. Prima si uccideva la madre,poi il bambino,perché non vedessero morire il figlio. I bambini più grandi capivano il loro destino. I più piccoli gattonavano nella fossa per ritrovare i loro genitori. Bisognava mirare dritto al petto. Se non venivano uccisi sul colpo,potevano morire soffocati sotto il peso dei corpi sdraiati su di loro,che cadevano uno a uno".
(testimonianza di Juozas Aleksynas,poliziotto lituano incaricato dello sterminio degli ebrei nel ghetto di Kaunas).

Com'è possibile allora che certe madri si siano salvate se la pratica diffusa era questa? Perché a Raya e Masa è stata concessa la vita e ai loro figli la morte?
La verità a cui l'autrice arriva è un traguardo,una danza in un parcheggio di Kaunas quando continua a comporre,tassello su tassello la "sua" storia. Ma tornare in Lituania per finire di scrivere e raccontare una storia,per ritrovare una comunità di cui non rimane niente,è scontrarsi anche "con chi finge che nessuno ha ucciso ed è stato ucciso" quando in realtà:

"Alcuni lituani hanno collaborato con i nazisti e hanno ucciso degli ebrei,alcuni ebrei erano comunisti e hanno accolto bene l'arrivo dell'Armata Rossa. I sovietici hanno combattuto i nazisti e ucciso e deportato lituani nei campi in Siberia. I sovietici sono stati i primi a censire gli ebrei sterminati dalle Einsatzgruppen (*1),hanno ucciso e deportato ebrei nei campi in Siberia.
In Lituania le sofferenze si sono aggiunte le une alle altre".

Questo è un altro grande tema che Colombe Schneck affronta nel suo libro: la Lituania è una paese che soffre e nel quale le ferite sono ancora aperte e silenziose,si sono sovrapposte l'una all'altra,troppo dolore ha fatto si che per alcuni,una tragedia vissuta,ne cancellasse altre; ma come scrive Nadine Fresco nel libro, La mort des juifs,un dolore non ne cancella un altro.
E a mio avviso,è anche questo che la Schneck vuole trasmetterci rovesciando l'epigrafe iniziale di David Grossman: il diritto ad essere vittime di qualcosa,"dell'arbitrario,del peggio,di ciò che distrugge la vita,quando lo si descrive con parole proprie"; ma ricordandoci che "la vita di ognuno di noi non è un tentativo di amare. E' l'unico tentativo" (Pascal Quignard). 
Sorridere quindi,e accettare il fatto che "scegliere la vita" non è una colpa,nonostante tutto.


( *1); Einsatzgruppen: prime unità mobili di massacro che operavano nelle regioni invase dall'esercito tedesco durante la seconda guerra mondiale e incaricate della liquidazione degli ebrei nei paesi baltici).

"Memel",il titolo del mio articolo,viene dal lettone e significa: "silenzio".


Ilaria Demurtas



E' inutile dirvi che ho amato questo libro dall'inizio alla fine e che secondo me,ognuno di voi deve leggerlo,assolutamente.




Salomè Bernstein
(1 luglio 1939)
















mercoledì 22 gennaio 2014

Un mercoledì di rime sparse

Rubrica settimanale di poesia e fotografia

Questa rubrica è dedicata alla pubblicazione, una volta alla settimana e sempre di mercoledì, di una poesia accompagnata da una fotografia o da un disegno/illustrazione, di autori conosciuti e sconosciuti,affermati ed emergenti. La pubblicazione sarà a mia discrezione ma vi chiedo,se avete qualcosa da propormi,di scrivermi,contattarmi,commentare i posti,aprire discussioni e dibattiti,non aspetto altro che ricevere commenti,critiche,suggerimenti,trarre ispirazione dalle vostre idee.

Buona lettura!


Oggi pubblico una poesia di Andrea Zanzotto,accompagnata da uno scatto di Alessandra Olianas.
Il paesaggio e i suoi personaggi,come recita il titolo della poesia,paesaggio che per tutta la vita del poeta è sempre il medesimo e amato fin dall'infanzia,sono i protagonisti di questo primo appuntamento con la rubrica,un paesaggio che si manifesta come evento,accadimento, e che si lega indissolubilmente alle condizioni psico-fisiche dell'uomo,alla sua interiorità; paesaggio nel quale,con l'industrializzazione e l'urbanizzazione "resta quasi dovunque sfregiato il volto antico delle città e le campagne vengono infiltrate da una specie di sfilacciato tessuto urbano,proliferante di costruzioni amorfe,come quelle villette-benessere che,se saziano un'antica fame di abitazioni per tutti,oscurano con la loro caotica disseminazione ogni angolo del paesaggio".
Questa devastazione ambientale è vista non tanto con l'occhio attento dell'ecologista, ma con lo sguardo del poeta che vi ritrova una profonda implicazione metafisica,in una poetica della natura,ultimo rifugio sacro nel mondo contemporaneo. Ritrovare anche la propria casa,il proprio paesaggio di sempre,gli stessi occhi del passato per riscoprire il presente e il futuro; occhi che colgono le novità e quella devastazione, ma conservano il ricordo,affinché ci porti a  un domani più ricco,meno distruttivo.
Senza bisogno di cambiare continuamente paesaggio ma vivendo nella stessa casa,sulla stessa sedia,di fronte alla stessa vallata che non sono mai uguali al giorno precedente e che, per alcuni, sono anzi meno soffocanti del continuo migrare.
C'era chi ancora restava ed è Andrea Zanzotto e c'è chi ancora resta e sul suo esempio si immerge nello stesso ma diverso e multiforme paesaggio.


Ilaria Demurtas



Paesaggio e personaggio

Paesaggio e personaggio
non sempre vanno insieme,
che l'un nell'altro affondino
è quel che più si teme.

Però se questo capita
pur sempre è gran ventura,
sol dove il cuore palpita
la sintesi è sicura.

Fusi eppure distinti:
tali li vuol natura.


(Andrea Zanzotto)



"True goodbyes are the ones never said or explained"
foto di:
Alessandra Olianas






Qualche nota sugli autori

Andrea Zanzotto (Pieve di Soligo 1921- Conegliano 18 ottobre 2011) è il maggior poeta italiano della generazione 
post-Montale; pubblica il suo primo libro di poesia nel 1951, Dietro il paesaggio, poesia che sin dagli esordi appare fisicamente legata al paesaggio natale,ai suoi colli veneti di cui sarà "l'incantato/disincantato scrutatore". A tale legame il poeta resterà fedele nell'intera sua opera,pur nel mutare di scelte formali,di ordini e registri della lingua.
Un volume della collana "Oscar" Mondadori raccoglie "Tutte le poesie" (2011).
La poesia che potete leggere qui è pubblicata nel volume "La coscienza e il coraggio -esperienze letterarie della modernità,studi in onore di Sandro Maxia" a cura di Giovanna Caltagirone,AM&D edizioni.

Per approfondimenti,rimando a questo sito:  http://www.treccani.it/enciclopedia/andrea-zanzotto/

Alessandra Olianas è nata in Sardegna nel 1988 e studia Lingue presso l'Università degli studi di Cagliari; ama viaggiare e ha vissuto,oltre che nella sua terra, in Spagna,Inghilterra,Irlanda,Albania. Il viaggio si intreccia profondamente al suo amore viscerale e intenso per la fotografia,i libri;tutto questo si coniuga attraverso le sue opere, in una ricerca incessante di storie da raccontare,emozioni,vita.







martedì 14 gennaio 2014

Il silenzio della mia città



Ieri,ormai; ho aperto il portone alle 23 per tornare a casa e la città era già immersa nel suo silenzio. Davanti a me,in un pub,una ragazza dai capelli ricci e rossicci,armeggiava con qualcosa sul bancone: occhi bassi,immersa nelle sue faccende,non mi guardava. La musica quasi impercettibile suonava da un altro locale accanto al quale avevo parcheggiato la macchina.
La strada così vuota e umida. Umida e pettinata,quasi sembrava che qualcuno si fosse preso la briga di metterla in ordine,mettendo da parte ogni cosa fuori posto per farla apparire liscia e impeccabile,un manto morbido imperlato dall`umidità della notte. 
Camminare, scaraventata in quest` ordine surreale,e con la mente viaggiare fino a chi sta con una coperta davanti alla tv,nel proprio letto con un libro in mano,davanti a un computer a lavorare al riparo dal freddo della notte,oltre quei vetri che si appannano solo negli angoli e che a me hanno sempre fatto immaginare la neve; neve che mai arrivava,immaginarla scendere fioca fioca con
gli occhi stretti stretti di sogni.
Catturare quel momento,sospenderlo nel tempo che avevo rapito alle strade deserte e alle persone dentro le case;la mia silenziosa libertà di nuvole in corsa.
Correre.
Ridere per divertirmi,non farmi raggiungere.
E sedermi felice,dopo aver abbracciato tutta l`aria fredda di gennaio sul viso.

Sorriderti.



Ilaria D.