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venerdì 24 gennaio 2014

"Memel"- Le madri salvate


"Non si è più vittime di nulla [...]" recita l'epigrafe di David Grossman al libro di Colombe Schneck, "Le madri salvate"; un libro che con coraggio e voce nuova affronta una delle pagine più buie e complesse della Shoah: lo sterminio degli ebrei lituani e,in particolare, la vicenda di alcuni membri della famiglia dell'autrice ( la bisnonna Mary,tre dei suoi quattro figli: Raya,Masa con i loro mariti,Nahum con la moglie e i rispettivi figli di Raya e Masa, Salomè di sette anni e Kalman di tre anni) segregati nel ghetto di Kovno a Kaunas.Il libro prende avvio da una vicenda personale della quale nella famiglia si è pressoché taciuto per ben sessant'anni,finché l'autrice non tenta e riesce in parte a squarciare quel silenzio con il suo libro (silenzio mantenuto soprattutto da sua nonna Ginda,sorella di Raya e Masa ma emigrata in Francia prima della guerra, e da sua madre Hèlene) ma prima ancora con il peso di una colpa inesistente che sente gravare sulle sue spalle e che la porta alla ricerca della verità.

"Il dolore affiora solo una volta", è una delle chiavi per capire cosa hanno vissuto e perché tanti di coloro che hanno vissuto quella disperazione ,per tanto tempo non sono riusciti a far altro che tacere e vivere la vita dopo, nel loro silenzio e nel loro dolore

"Non c'è trasmissione ai figli e ai nipoti. Il mondo di prima è sepolto e ne restano solo alcune vestigia".

E di questa trasmissione del passato,l'autrice sa solo una cosa all'inizio del suo racconto: i figli delle sorelle di sua nonna,Salomè e Kalman e sua bisnonna Mary sono morti probabilmente il 26 ottobre del 1943,in seguito alla seconda grande Aktion nel ghetto di Kovno.

"Che ne è stato degli altri? I figli non sono nati. I loro genitori sono morti troppo presto,i sopravvissuti se ne sono andati in Israele e negli Stati Uniti.
Faccio il conto,siamo pochi e tutti nella stessa paura,senza niente che ci leghi.
Angosciati,colpevoli,paranoici,col mal di pancia,ci riconosciamo così.
Preoccupati del nostro paese.
Che posto occupa il dolore nelle nostre vite di oggi?"

E' il posto che occupa questo dolore ad accompagnare la vita di Colombe e ancora prima di sua madre e soprattutto di sua nonna Ginda. E dal dolore, nascono le domande:

"C'era come un divieto invisibile,non mi proibivano di fare domande,ma intuivo che non era il caso".

Ma uno dei tormenti più grandi è legato a quel "sempre scegliere la vita" che era valso per le prozie Raya e Masa di fronte alla morte dei figli; Colombe si chiede,con sua figlia Salomè tra le braccia ( " e dando a mia figlia il bel nome di Salomè le ho accollato una maledizione che non conosco" ): io potrei mai continuare a vivere se morissero i miei figli? Non si capacita ed allo stesso tempo,durante le sue ricerche e le sue domande,ritrova questo sul viso di chi ha vissuto certi orrori:

"Il suo sorriso poteva essere allegro perché in fondo al cuore sapeva di cosa fosse fatta la vita: se il peggio è possibile,la malinconia non è ammessa".

Si incontrano/scontrano,nella famiglia dell'autrice,il desiderio di andare avanti delle prozie che si risposano dopo aver perso anche i loro mariti e danno alla luce altri figli nonostante la morte di Salomè e Kalman,con la solitudine e il silenzio della nonna Ginda,che pur non avendo vissuto tutto questo non parla e non racconta quasi nulla della morte dei nipoti.
Colombe inizia le sue ricerche,studia,intervista familiari,viaggia per gli Stati Uniti,in Israele e in Lituania,vuole sapere e fare luce sulla storia della sua famiglia e sul destino di quelle famiglie ebree lituane sterminate. 
Il 95% della popolazione ebrea lituana è stata cancellata; Ponevezh, il paese lituano in cui erano nate sua nonna con le sue sorelle,non conserva più la benché minima traccia della popolazione ebrea che un tempo viveva lì e che superava di gran lunga il numero degli altri abitanti.

"Le madri tenevano in braccio i bambini. Prima si uccideva la madre,poi il bambino,perché non vedessero morire il figlio. I bambini più grandi capivano il loro destino. I più piccoli gattonavano nella fossa per ritrovare i loro genitori. Bisognava mirare dritto al petto. Se non venivano uccisi sul colpo,potevano morire soffocati sotto il peso dei corpi sdraiati su di loro,che cadevano uno a uno".
(testimonianza di Juozas Aleksynas,poliziotto lituano incaricato dello sterminio degli ebrei nel ghetto di Kaunas).

Com'è possibile allora che certe madri si siano salvate se la pratica diffusa era questa? Perché a Raya e Masa è stata concessa la vita e ai loro figli la morte?
La verità a cui l'autrice arriva è un traguardo,una danza in un parcheggio di Kaunas quando continua a comporre,tassello su tassello la "sua" storia. Ma tornare in Lituania per finire di scrivere e raccontare una storia,per ritrovare una comunità di cui non rimane niente,è scontrarsi anche "con chi finge che nessuno ha ucciso ed è stato ucciso" quando in realtà:

"Alcuni lituani hanno collaborato con i nazisti e hanno ucciso degli ebrei,alcuni ebrei erano comunisti e hanno accolto bene l'arrivo dell'Armata Rossa. I sovietici hanno combattuto i nazisti e ucciso e deportato lituani nei campi in Siberia. I sovietici sono stati i primi a censire gli ebrei sterminati dalle Einsatzgruppen (*1),hanno ucciso e deportato ebrei nei campi in Siberia.
In Lituania le sofferenze si sono aggiunte le une alle altre".

Questo è un altro grande tema che Colombe Schneck affronta nel suo libro: la Lituania è una paese che soffre e nel quale le ferite sono ancora aperte e silenziose,si sono sovrapposte l'una all'altra,troppo dolore ha fatto si che per alcuni,una tragedia vissuta,ne cancellasse altre; ma come scrive Nadine Fresco nel libro, La mort des juifs,un dolore non ne cancella un altro.
E a mio avviso,è anche questo che la Schneck vuole trasmetterci rovesciando l'epigrafe iniziale di David Grossman: il diritto ad essere vittime di qualcosa,"dell'arbitrario,del peggio,di ciò che distrugge la vita,quando lo si descrive con parole proprie"; ma ricordandoci che "la vita di ognuno di noi non è un tentativo di amare. E' l'unico tentativo" (Pascal Quignard). 
Sorridere quindi,e accettare il fatto che "scegliere la vita" non è una colpa,nonostante tutto.


( *1); Einsatzgruppen: prime unità mobili di massacro che operavano nelle regioni invase dall'esercito tedesco durante la seconda guerra mondiale e incaricate della liquidazione degli ebrei nei paesi baltici).

"Memel",il titolo del mio articolo,viene dal lettone e significa: "silenzio".


Ilaria Demurtas



E' inutile dirvi che ho amato questo libro dall'inizio alla fine e che secondo me,ognuno di voi deve leggerlo,assolutamente.




Salomè Bernstein
(1 luglio 1939)
















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