Viviamo tutti sospesi; momentaneamente, per lungo tempo, sospesi in una calma apparente, quasi sinistra per certi versi. Ed è strano come a volte ci scrolliamo tutto in un tratto e ci rendiamo conto di quanto profondamente quella sospensione, quel limbo "passeggero", abbia dirottato la nostra vita verso tutti altri sensi.
La realtà " ci confinava in un angolo morto della storia " scrive Vittorio Sereni ricordando la sua prigionia in Algeria dal luglio del 1943 al luglio del '45; le poche notizie che giungevano dall'Italia, dal resto del mondo, i pochi nomi avvolti da una fama vaga e indefinita acuivano ancor più quella sospensione, quello straniamento che la prigionia gettava nelle loro vite.
La liberazione " fu uno strappo e doveva essere un epilogo; o almeno la premessa a un'evoluzione, a uno sviluppo. Così quella prigionia, o quel suo particolare stato, ci lasciava il suo segno [...] una riluttanza o piuttosto uno spasimo per ogni volta che si fosse trattato di scegliere, in qualunque senso e per qualunque operazione, anche la più normale e quotidiana, tra solitudine e partecipazione" (da L'anno quarantacinque).
Nella poesia che segue ( pagina 83 nella collana dei Meridiani Mondadori), tratta dalla raccolta Diario d'Algeria si avverte questo distacco, scacco, ma si dilata, si stende, si acquieta:
"Fatto è il mio sguardo più tenero e lento
d'essere altrove e qui non è più teso".
Tanti attimi, luoghi, volti amati si confondono nel ricordo del poeta per ritrovare la calma frusciante e il silenzio come di risacca
" nel vecchio cielo diventato mite".
Sembrerebbe quasi che si sia ritrovata la pace, che attraverso questa sospensione, straniamento, si sia giunti a un'oasi, finalmente; invece è proprio questa calma oscillante a rinchiuderlo in un microcosmo che negli anni avvenire lo farà sentire tagliato fuori dal mondo.
Lo scatto di Silvia Pruna è un attimo sospeso; un attrice si libra nell'aria, a mezz'aria, sorretta solo da un nastro bianco. E' un "carpe diem", passerà veloce ma lascerà pur qualcosa, un messaggio, un segno;
l'arte dovrà pur essere la nostra certa salvezza dall'aridità che ultimamente tenta di scavarci il vuoto intorno.
Forza, coraggio, sicurezza, si fondono tutti in questa sospensione come i ricordi di Sereni, nel vecchio cielo ora mite.
E siamo noi a dover scorgere un volto che manca.
Ilaria Demurtas
Se la febbre di te più non mi porta
come ogni gesto si muta in carezza
ove indugia un addio
foglia che di prima estate
si spicca.
Fatto è il mio sguardo più tenero e lento
d`essere altrove e qui non è più teso.
Strade fontane piazze
un giorno corse a volo
nel lume del tuo corpo
in ognuna m`attardo in un groviglio
di volti amati
nel poco verde tra gli anditi bui
nel vecchio cielo diventato mite.
Sidi-Chami, dicembre 1944