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giovedì 13 febbraio 2014

Un mercoledì (di giovedì) di rime sparse

Viviamo tutti sospesi; momentaneamente, per lungo tempo, sospesi in una calma apparente, quasi sinistra per certi versi. Ed è strano come a volte ci scrolliamo tutto in un tratto e ci rendiamo conto di quanto profondamente quella sospensione, quel limbo "passeggero", abbia dirottato la nostra vita verso tutti altri sensi.
La realtà " ci confinava in un angolo morto della storia " scrive Vittorio Sereni ricordando la sua prigionia in Algeria dal luglio del 1943 al luglio del '45; le poche notizie che giungevano dall'Italia, dal resto del mondo, i pochi nomi avvolti da una fama vaga e indefinita acuivano ancor più quella sospensione, quello straniamento che la prigionia gettava nelle loro vite.
La liberazione " fu uno strappo e doveva essere un epilogo; o almeno la premessa a un'evoluzione, a uno sviluppo. Così quella prigionia, o quel suo particolare stato, ci lasciava il suo segno [...] una riluttanza o piuttosto uno spasimo per ogni volta che si fosse trattato di scegliere, in qualunque senso e per qualunque operazione, anche la più normale e quotidiana, tra solitudine e partecipazione" (da L'anno quarantacinque).
Nella poesia che segue ( pagina 83 nella collana dei Meridiani Mondadori), tratta dalla raccolta Diario d'Algeria si avverte questo distacco, scacco, ma si dilata, si stende, si acquieta:

"Fatto è il mio sguardo più tenero e lento
d'essere altrove e qui non è più teso".

Tanti attimi, luoghi, volti amati si confondono nel ricordo del poeta per ritrovare la calma frusciante e il silenzio come di risacca

 " nel vecchio cielo diventato mite".

Sembrerebbe quasi che si sia ritrovata la pace, che attraverso questa sospensione, straniamento, si sia giunti a un'oasi, finalmente; invece è proprio questa calma oscillante a rinchiuderlo in un microcosmo che negli anni avvenire lo farà sentire tagliato fuori dal mondo.

Lo scatto di Silvia Pruna è un attimo sospeso; un attrice si libra nell'aria, a mezz'aria, sorretta solo da un nastro bianco. E' un "carpe diem", passerà veloce ma lascerà pur qualcosa, un messaggio, un segno;
l'arte dovrà pur essere la nostra certa salvezza dall'aridità che ultimamente tenta di scavarci il vuoto intorno.
Forza, coraggio, sicurezza, si fondono tutti in questa sospensione come i ricordi di Sereni, nel vecchio cielo ora mite.
E siamo noi a dover scorgere un volto che manca.


Ilaria Demurtas





Se la febbre di te più non mi porta
come ogni gesto si muta in carezza
ove indugia un addio
foglia che di prima estate
si spicca.

Fatto è il mio sguardo più tenero e lento
d`essere altrove e qui non è più teso.

Strade fontane piazze
un giorno corse a volo
nel lume del tuo corpo
in ognuna m`attardo in un groviglio
di volti amati
nel poco verde tra gli anditi bui
nel vecchio cielo diventato mite.


Sidi-Chami, dicembre 1944





" Tessuti tesi"
di
Silvia Pruna



Qualche nota sugli autori:

Vittorio Sereni (27 luglio 1913, Luino-10 febbraio 1983, Milano) è stato un poeta, traduttore e critico italiano; le sue essenziali raccolte ( Diario d'Algeria, Gli strumenti umani) si legano ai momenti salienti della propria vicenda umana, dalle esperienze di guerra e di prigionia agli anni dello sviluppo economico, vissuti con severo distacco critico. Critico e traduttore scrisse anche prose che sono in stretto rapporto con la sua poesia.



Silvia Pruna: é nata,vive e studia Biologia a Cagliari; ricercatezza e messa a fuoco quasi sempre ottimale, sperimentazione di tecniche fotografiche diverse, sono le caratteristiche principali dei suoi scatti. E' attenta ai dettagli della natura, fotografa spesso spettacoli di danza e teatro; tutti i suoi soggetti son colti in un attimo ben preciso, poco prima che possa passare, sfuggire.


http://www.flickr.com/photos/pru08/





mercoledì 5 febbraio 2014

Un mercoledì di rime sparse

Il poeta Josif Brodskij scrisse:

" L'Achmatova è uno di quei poeti che semplicemente avvengono, che sbarcano nel mondo con uno stile già costruito e una loro sensibilità unica. Arrivò attrezzata di tutto punto e non somigliò mai a nessuno".

La poetessa russa Anna Achmatova, si pone al crocevia di cammini spirituali e intellettuali, lontana dalle sperimentazioni simboliste del suo tempo e il risultato a cui inizialmente giunge è una "poesia della quotidianità", apparentemente tradizionale e nei fatti genialmente innovativa; la sua innovazione risiede nel non far propria la scrittura d'avanguardia ma immergersi in una scrittura  personale e intima e da questa intimità partire per abbracciare anche l'esterno,seguendo un processo altrettanto complesso di "passaggio" se così vogliamo chiamarlo. 
E in questi passaggi,in questa corsa del tempo, che a mio avviso l'Achmatova conserva certe emozioni, certi tratti a cui sempre rimarrà fedele nella sua poesia, dai primi anni (1910) agli ultimi versi (1959-1966); e queste emozioni, come un fiume carsico, viaggiano nascoste e sotterranee certi periodi ( vedi soprattutto il periodo della seconda guerra mondiale, il regime sovietico) ma sempre riaffiorano e sono pronte a farlo.
Per valorizzare questa peculiarità tutta achmatoviana, oggi ho scelto due poesie, scritte a distanza di molti anni l'una dall'altra ( 1911 " La porta è socchiusa" , 1959 dal ciclo "Pagine di Tasként" ) ma che conservano quell'essenzialità che è una delle cifre stilistiche più alte lungo tutto il percorso poetico della scrittrice: questa essenzialità nei primi versi dell' 11, in cui possiamo cogliere mescolanza di emozionalità e autocontrollo, si riflette in una " poetica che si regge sul gioco di spinte e contro spinte, si nutre delle sue stesse contraddizioni interne" ( Michele Colucci ).
In entrambe le poesie è l'amore il tema centrale. 
Nella prima Michele Colucci, nella sua prefazione a " La corsa del tempo", scorge una visione dell'eros, dell'amore come negazione di se; prevale l'equazione amore = sofferenza e se, come abbiamo detto, nei fatti nega se stesso, aspira comunque a una totalità, a un amore-totalità che sia libero dai limiti dell'esistenza quotidiana:

Sai, ho letto
che le anime sono immortali.

E nella seconda poesia abbiamo un momento d'amore, affidato al ricordo e al sogno, a quella possibilità di poterlo suggellare attraverso il ricordo, nonostante questi siano anni di rassegnata consapevolezza e dolorosa introspezione di fronte ai decreti della sorte,contro cui non si può più combattere. La totalità dell'amore a cui la poetessa aspira, è sì affievolita dalla corsa del tempo, dagli eventi che inevitabilmente ci condizionano e cambiano, ma è sempre presente questa aspirazione e possiamo coglierne le tracce brillanti, come lucciole, sparse tra i suoi versi.

Se quella notte tornerà a te,
nel tuo destino che non comprendo,
sappilo: qualcuno
ha visto in sogno quel sacro momento.

Per la fotografia oggi vi propongo due miei scatti; la luce cambia, ma in ognuno di essi " l'oggetto " è stato qualcosa per cui è valsa la pena fermarsi a guardare, durante la mia corsa del tempo.


Ilaria Demurtas



La porta è socchiusa

La porta è socchiusa
dolce respiro dei tigli...
Sul tavolo, dimenticati,
un frustino ed un guanto.

Giallo cerchio del lume...
tendo l'orecchio ai fruscii.
Perché sei andato via?
Non comprendo...

Luminoso e lieto
domani sarà il mattino.
Questa vita è stupenda,
sii dunque saggio, cuore.

Tu sei prostrato, batti
più sordo, più a rilento...
Sai, ho letto
che le anime sono immortali.

1911




Dal ciclo " Pagine di Tasként "

Fummo pazzi quella notte l'uno nell'altra,
solo lume una tenebra ferale,
borbottavano i canali loro nenie,
e i garofani sapevano d'Asia.

Andavamo per la città forestiera
nel canto opaco e l'afa di mezzanotte,
soli, sotto le stelle del Serpente,
senza osare guardarci l'uno l'altro.

Poteva essere Istambul, Bagdad magari,
ma, ahimè, non Varsavia, non Leningrado,
e ci opprimeva quello iato amaro
come un'atmosfera di orfanezza.

E ci sembrava: marciano accanto i secoli,
una mano invisibile percuote un tamburo,
ed i suoni, come segni segreti,
volteggiano innanzi a noi nel buio.

Insieme alla caligine arcana,
quasi andassimo per una terra di nessuno,
ma di colpo sopra l'incontro-commiato,
feluca di diamante, si erse la luna.

Se quella notte tornerà a te,
nel tuo destino che non comprendo,
sappilo: qualcuno
ha visto in sogno quel sacro momento.

1959






"Quello che rimane"
foto di:
Ilaria Demurtas








Qualche nota sull'autrice:

Anna Achmatova ( psedudonimo di Anna Andreevna Gorenko; 23 giugno 1889, Bolsoj Fontan - 5 maggio 1966, Mosca ) è stata una poetessa russa ( lei non amava farsi definire poetessa, preferiva essere chiamata "poeta"). Per un'analisi completa e parallela di vita e opere, vi rimando all'introduzione a, La corsa del tempo, Einaudi, di Michele Colucci; mi ha molto aiutata per comprendere la Achmatova.
A parte i miei pensieri e analisi di oggi, non potendomi dilungare adesso su un altro aspetto molto importante della poesia della Achmatova vorrei almeno scrivere che ha vissuto nel solco di due epoche; tra emozionalità e razionalità, sottraendosi a ogni ideologia di regime, ha reso comunque la sorte del suo paese indispensabile al suo poetare.
I testi che ho presentato potete trovarli entrambi nella raccolta edita da Einaudi, La corsa del tempo.

Per altre informazioni:



sabato 1 febbraio 2014

In un`aria di vetro #1

" Perché tutto vive in me
   e non nel tempo
   e in me
   tutto è presente"

["Ieri", Agota Kristof; foto di Yale Joel 1957]