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mercoledì 5 febbraio 2014

Un mercoledì di rime sparse

Il poeta Josif Brodskij scrisse:

" L'Achmatova è uno di quei poeti che semplicemente avvengono, che sbarcano nel mondo con uno stile già costruito e una loro sensibilità unica. Arrivò attrezzata di tutto punto e non somigliò mai a nessuno".

La poetessa russa Anna Achmatova, si pone al crocevia di cammini spirituali e intellettuali, lontana dalle sperimentazioni simboliste del suo tempo e il risultato a cui inizialmente giunge è una "poesia della quotidianità", apparentemente tradizionale e nei fatti genialmente innovativa; la sua innovazione risiede nel non far propria la scrittura d'avanguardia ma immergersi in una scrittura  personale e intima e da questa intimità partire per abbracciare anche l'esterno,seguendo un processo altrettanto complesso di "passaggio" se così vogliamo chiamarlo. 
E in questi passaggi,in questa corsa del tempo, che a mio avviso l'Achmatova conserva certe emozioni, certi tratti a cui sempre rimarrà fedele nella sua poesia, dai primi anni (1910) agli ultimi versi (1959-1966); e queste emozioni, come un fiume carsico, viaggiano nascoste e sotterranee certi periodi ( vedi soprattutto il periodo della seconda guerra mondiale, il regime sovietico) ma sempre riaffiorano e sono pronte a farlo.
Per valorizzare questa peculiarità tutta achmatoviana, oggi ho scelto due poesie, scritte a distanza di molti anni l'una dall'altra ( 1911 " La porta è socchiusa" , 1959 dal ciclo "Pagine di Tasként" ) ma che conservano quell'essenzialità che è una delle cifre stilistiche più alte lungo tutto il percorso poetico della scrittrice: questa essenzialità nei primi versi dell' 11, in cui possiamo cogliere mescolanza di emozionalità e autocontrollo, si riflette in una " poetica che si regge sul gioco di spinte e contro spinte, si nutre delle sue stesse contraddizioni interne" ( Michele Colucci ).
In entrambe le poesie è l'amore il tema centrale. 
Nella prima Michele Colucci, nella sua prefazione a " La corsa del tempo", scorge una visione dell'eros, dell'amore come negazione di se; prevale l'equazione amore = sofferenza e se, come abbiamo detto, nei fatti nega se stesso, aspira comunque a una totalità, a un amore-totalità che sia libero dai limiti dell'esistenza quotidiana:

Sai, ho letto
che le anime sono immortali.

E nella seconda poesia abbiamo un momento d'amore, affidato al ricordo e al sogno, a quella possibilità di poterlo suggellare attraverso il ricordo, nonostante questi siano anni di rassegnata consapevolezza e dolorosa introspezione di fronte ai decreti della sorte,contro cui non si può più combattere. La totalità dell'amore a cui la poetessa aspira, è sì affievolita dalla corsa del tempo, dagli eventi che inevitabilmente ci condizionano e cambiano, ma è sempre presente questa aspirazione e possiamo coglierne le tracce brillanti, come lucciole, sparse tra i suoi versi.

Se quella notte tornerà a te,
nel tuo destino che non comprendo,
sappilo: qualcuno
ha visto in sogno quel sacro momento.

Per la fotografia oggi vi propongo due miei scatti; la luce cambia, ma in ognuno di essi " l'oggetto " è stato qualcosa per cui è valsa la pena fermarsi a guardare, durante la mia corsa del tempo.


Ilaria Demurtas



La porta è socchiusa

La porta è socchiusa
dolce respiro dei tigli...
Sul tavolo, dimenticati,
un frustino ed un guanto.

Giallo cerchio del lume...
tendo l'orecchio ai fruscii.
Perché sei andato via?
Non comprendo...

Luminoso e lieto
domani sarà il mattino.
Questa vita è stupenda,
sii dunque saggio, cuore.

Tu sei prostrato, batti
più sordo, più a rilento...
Sai, ho letto
che le anime sono immortali.

1911




Dal ciclo " Pagine di Tasként "

Fummo pazzi quella notte l'uno nell'altra,
solo lume una tenebra ferale,
borbottavano i canali loro nenie,
e i garofani sapevano d'Asia.

Andavamo per la città forestiera
nel canto opaco e l'afa di mezzanotte,
soli, sotto le stelle del Serpente,
senza osare guardarci l'uno l'altro.

Poteva essere Istambul, Bagdad magari,
ma, ahimè, non Varsavia, non Leningrado,
e ci opprimeva quello iato amaro
come un'atmosfera di orfanezza.

E ci sembrava: marciano accanto i secoli,
una mano invisibile percuote un tamburo,
ed i suoni, come segni segreti,
volteggiano innanzi a noi nel buio.

Insieme alla caligine arcana,
quasi andassimo per una terra di nessuno,
ma di colpo sopra l'incontro-commiato,
feluca di diamante, si erse la luna.

Se quella notte tornerà a te,
nel tuo destino che non comprendo,
sappilo: qualcuno
ha visto in sogno quel sacro momento.

1959






"Quello che rimane"
foto di:
Ilaria Demurtas








Qualche nota sull'autrice:

Anna Achmatova ( psedudonimo di Anna Andreevna Gorenko; 23 giugno 1889, Bolsoj Fontan - 5 maggio 1966, Mosca ) è stata una poetessa russa ( lei non amava farsi definire poetessa, preferiva essere chiamata "poeta"). Per un'analisi completa e parallela di vita e opere, vi rimando all'introduzione a, La corsa del tempo, Einaudi, di Michele Colucci; mi ha molto aiutata per comprendere la Achmatova.
A parte i miei pensieri e analisi di oggi, non potendomi dilungare adesso su un altro aspetto molto importante della poesia della Achmatova vorrei almeno scrivere che ha vissuto nel solco di due epoche; tra emozionalità e razionalità, sottraendosi a ogni ideologia di regime, ha reso comunque la sorte del suo paese indispensabile al suo poetare.
I testi che ho presentato potete trovarli entrambi nella raccolta edita da Einaudi, La corsa del tempo.

Per altre informazioni:



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